rapporto di RAWA, marzo 2001
Quanto state per leggere non fornisce assolutamente un'immagine esauriente delle sofferenze della fascia più martoriata del popolo afghano,né della miseria dilagante nella capitale Kabul. La relazione che segue serve solo a puntualizzare alcuni aspetti basilari:
Al contrario di quanto affermato dai patetici criminali talebani e jehadi, la ferocia dello «Stato Islamico» e del suo sostituto, l'«Emirato Islamico» d'Afghanistan, non solo non ha avuto alcun impatto sulla riduzione della prostituzione - questa pesante violazione dei diritti delle donne - nel Paese, ma la loro "pia" criminalità non ha fatto altro che contribuire ad un rapido incremento del commercio della carne.
Ancora una volta, nonostante le ridicole opinioni infantili delle bande di Talebani e Jehadi, il flagello dell'AIDS non conosce frontiere nazionali o religiose. L'infezione da virus HIV si è insinuata ormai da lungo tempo nella società afghana e si è diffusa soprattutto fra le prostitute, tra le quali si contano vittime silenziose. I governanti fondamentalisti in Afghanistan sono troppo ignoranti per poter valutare la reale minaccia dell'AIDS. Nella loro presunta «erudizione», puerile ed arrogante, sono convinti che basti invocare la parola "Islam", perché la loro Sharia compia un miracolo liberando dall'AIDS l'Afghanistan contaminato dal fondamentalismo.
L'Emirato Islamico, nascondendo dietro la bandiera dell'Islam e la legge della Sharia ogni infamia, comprese la lapidazione e le esecuzioni arbitrarie, non potrà mai sperare di far suppurare i mali sociali e, in particolare, la prostituzione. Come già affermato in passato, potranno soltanto favorire il peggioramento della situazione.
Il dilagare della prostituzione e la devastazione fisica, mentale e morale delle donne afghane sono forse tra i crimini più gravi del susseguirsi dei regimi fantoccio, da Taraki a Najib. I criminali jehadi hanno elevato questa disgrazia fino al suo culmine. Tanto più gli ipocriti Talebani continueranno a nascondersi dietro all'Islam e alla Sharia, tanto più si distingueranno per disonore e infamia. I fondamentalisti e i loro simpatizzanti raffigurano le prostitute come una categoria corrotta e intoccabile nella loro società «islamica pura» e sono convinti che la purezza di questa loro società possa essere raggiunta perseguendo ed eliminando fisicamente le prostitute. Questo porta i nostri nobili e patriottici intellettuali a sostenere senza mezzi termini che qualsiasi ignominia, associata al vergognoso commercio della carne, sia il riflesso del marchio di infamia impresso a fuoco sulla fronte dei governanti fondamentalisti. Questi spregevoli governanti meritano ogni forma di disprezzo poiché sono l'origine e la causa di ogni flagello sociale, compresa la prostituzione, in un Paese già condannato a morte.
L'arrivo dei Talebani ha contribuito ad aumentare i problemi sociali, in particolare quelli economici, delle donne afghane. Queste vivono sotto la disumana oppressione dei fondamentalisti talebani e jehadi, in situazioni disastrose in cui viene loro negata la maggior parte dei diritti umani fondamentali. Il divieto di esercitare una professione ha causato un'ingente affluenza di donne disoccupate a Kabul. Queste donne si trovano a dover affrontare gravi problemi finanziari e, di conseguenza, i loro bambini soffrono di fame, malnutrizione e malattie, in uno stato cronico di povertà. La maggior parte di queste donne, privata di ogni fonte di reddito, è stata costretta a vendere i propri beni per comprare cibo. Quante potevano permettersi di lasciare il Paese lo hanno fatto, quelle che non ci sono riuscite hanno ingrossato la massa di mendicanti. Una percentuale elevata di tali mendicanti sono state insegnanti o impiegate.
Il cattivo stato dell'economia, soprattutto a Kabul, ha colpito duro sui miseri redditi di queste mendicanti. Il divieto per le donne di entrare nei negozi, negli alberghi e in altri esercizi commerciali ha inciso ancor più sui loro redditi, costringendo un gran numero di loro a dedicarsi alla prostituzione per poter sfamare se stesse e i propri figli.
Un gran numero di giovani vedove, che rappresentano l'unica fonte di reddito delle loro famiglie, trovando le porte chiuse, non hanno altro mezzo di sostentamento all'infuori della prostituzione.
In base ad una ricerca preliminare, centinaia di nuove prostitute hanno ingrossato le file delle prostitute di professione. Queste donne lavorano soprattutto nelle case chiuse, chiamate Qala. Poiché diventa sempre più difficile per una donna mendicare, il numero di prostitute aumenta di conseguenza. Solo nella città di Kabul lavorano tra i 25 e i 30 bordelli che, per motivi di sicurezza, ogni due o tre mesi vengono trasferiti. Quanto segue è il risultato di un breve rapporto su alcuni di questi bordelli a Taimany, Hashuqan-o-Harifan, Qala-e-Zaman Kan, e nelle aree qul-e-abchakan di Kabul.
In ognuno di questi bordelli alloggiano e lavorano da tre a cinque donne. Vengono usati termini del tipo: "kharabati" (prostituta), "khala kharabati" (la maitresse del bordello), "qala" (bordello) e "qala dar" (ruffiani). L'ambiente è di solito ostile e sono frequenti discussioni litigi con i clienti. Ogni Qala dispone di due o tre Qala-dar e una khala-kharabati. Gli intermediari fungono da mediatori fra le prostitute e i loro clienti. Le donne anziane gestiscono gli affari interni del Qala; prendono i soldi dai clienti, preparano da mangiare e si occupano di altre faccende domestiche nel Qala. I clienti si recano nel Qala oppure sono le donne ad andare da loro. Oppure, ancora, ci si serve di un taxi. A causa dei rischi connessi alla sicurezza, questo sistema è meno praticabile dal momento che i talebani hanno proibito l'uso del taxi alle donne non accompagnate da un mahram (parente stretto di sesso maschile). Pertanto, quando una prostituta vuole servirsi di un taxi per lavorare, prende con sé un ragazzino di 6-9 anni. Questi bambini di solito assistono ai rapporti sessuali e si dice che talvolta venga loro richiesto di partecipare. Una donna, M. H, ci ha riferito: «Un giorno ho deciso di lavorare nel taxi. Lungo la via Salang-wat il tassista ha segnalato la presenza di due uomini con il turbante. Sono saliti sul taxi e siamo andati nella zona di Silo. Arrivati a casa loro, hanno violentato il mio figlio di otto anni senza che io potessi fare niente per impedirlo. La mia indigenza ha messo a rischio la vita di mio figlio». Lavorare nei taxi è più difficile. Talvolta le donne non vedono un cliente per giorni. I tassisti di solito non vogliono correre il rischio di restare coinvolti.
Le donne che non fanno parte di un Qala sono considerate un rischio per la sicurezza, poiché potrebbero denunciare ai talebani quante invece ne fanno parte. Le donne che lavorano in un Qala possiedono di solito tre tipi di carta di identità. Una, in base alla quale risultano essere vedove con figli, serve per ottenere aiuto dagli uffici delle Nazioni Unite o dalla Croce Rossa. Queste carte di identità non vengono usate molto, in quanto le donne cambiano rapidamente di domicilio e non vogliono correre rischi con i funzionari locali. Un secondo tipo di documento, in base al quale risultano sposate, viene usato per esempio per affittare le case. Nel caso in cui vengano arrestate dai talebani con l'accusa di Zena (reato sessuale al di fuori dell'ambito matrimoniale), si servono di un terzo documento, in base al quale risultano nubili. Il fatto di essere nubili permette loro di evitare la lapidazione. Per esempio, l'anno scorso una donna (SH), residente a Gala-e-Mussa è stata arrestata per Zena. Ha trascorso due mesi e mezzo nella prigione dei talebani. Alla fine, previo pagamento di una tangente di sei milioni di Afghani al giudice del tribunale militare (Abdur Rahman Aqa), è stata rimessa in libertà dopo aver preso ottanta frustate. Ha riferito: "Mula Abdur Rahman (il giudice militare) riceve bustarelle non solo dalle prostitute, ma anche dai borseggiatori e dai giocatori di azzardo. La sharia (la legge del Corano) viene applicata solo per coloro che non possono pagare."
Il 60% dei soldi che i clienti pagano a queste donne va ai mediatori e alle donne anziane che lavorano per loro. La paura dei talebani ha ridotto il numero di clienti. L'età media di queste donne varia tra i 20 e i 35 anni. L'igiene dell'ambiente di lavoro è piuttosto scarsa. Un numero elevato di donne viene infettata da ulcere veneree, sifilide, irritazioni cutanee e anche dall'AIDS. L'AIDS potrebbe essere stato portato qui dai commercianti che trascorrevano molti mesi nei paesi arabi e che frequentavano i bordelli. A causa delle condizioni sfavorevoli, queste donne non possono essere visitate dai medici o usare pillole anticoncezionali. Le antiche tecniche tradizionali le mettono a rischio e spesso causano loro problemi medici.
Oltre ai problemi suddetti, i clienti causano dei grattacapo. P. (per motivi di sicurezza, i nomi vengono omessi) , non più di 30 anni, dice : «Cosa potevo fare? Questo è il mio destino. Morivo di fame e questo ha fatto di me una prostituta. Gli uomini dovrebbero avere un po' di pietà. I nostri clienti sono spietati. In cambio di 200.000 Afghanis essi pretendono che assecondiamo ogni loro velleità. Ci costringono a fumare hashish, il che ci ha fatto diventare delle tossicodipendenti. Alcuni clienti pretendono che rapporti innaturali o altre cose del genere. Altri se ne vanno senza pagare quando ci rifiutiamo di soddisfare le loro richieste. La maggior parte dei nostri clienti sono giocatori di professione, ma fra di essi si trovano a volte brave persone, come viaggiatori o persone che hanno problemi a casa. Oggi, la maggior parte dei nostri clienti porta il turbante. Se non vogliamo adeguarci alle loro richieste (si tratta per lo più di pederastia con ragazzini o atti innaturali sulle donne) dicono di essere talebani e di essere venuti per identificare i bordelli nella zona». F. racconta la sua storia: «un cliente che si era presentato come Mula Salim Akhund (Talebano) ha affermato di lavorare presso la stazione di polizia locale e voleva fare sesso per via anale. Ha detto che avrebbe pagato qualsiasi cifra avessimo chiesto. La richiesta non è stata accettata e lui se ne è andato dal Qala. Nel mese di marzo del 1999 sono stata arrestata da alcune persone armate e portata al Wulaiat (quartier generale della polizia) dove ho trascorso 20 giorni nel carcere femminile di Kabul. Infine sono stata liberata, visto che non c'erano prove sostanziali contro di me, ma prima di lasciarmi andare mi hanno inferto sette frustate.»
La maggior parte dei reclami sono contro gli «uomini con il turbante», che sono talebani di lingua Pashtun. Hanno maniere molto rudi, non pagano a sufficienza o minacciano quando lasciano il Qala e talvolta si divertono a torturare le donne che vi lavorano.
Il mediatore di una di queste case di Hashuqan-o-Harifan, M.I., racconta la sua storia : «Lo stato di bisogno e l'indigenza mi hanno costretto a passare a questo lavoro. La mia prima moglie è morta e ho avuto quattro figli dalla seconda moglie. Prima lavoravo in un ufficio governativo come messo notificatore, ma dopo l'arrivo dei talebani non sono stato pagato per sei mesi e non avevo altre fonti di reddito. I miei bambini erano malati e avevano fame. Non trovando niente di meglio, ho iniziato a fare questo lavoro. Alcuni giorni fa sono stato colpito con violenza alla mascella e poi derubato da due clienti mentre li accompagnavo fuori dalla zona, nei pressi di un cimitero.
R., circa settantanni, chiamata Ko-ko dalle donne della casa, donna scaltra, gestisce gli affari della casa. Mantiene i contatti con le altre case e prende i soldi da ogni donna. Da giovane era addetta alle pulizie presso l'ospedale di Kabul, ma lavorava come prostituta in un Qala. Ecco la sua storia: «durante il regime di Najeeb, il nostro Qala fu scoperto e io messa in prigione. Quando hanno scoperto che facevo le pulizie in un ospedale, mi hanno chiesto di lavorare come spia per conto loro; ho accettato e mi hanno lasciata libera. Facevo la spia per conto loro, quando il capo corsia ha iniziato ad offrirmi molto denaro per procacciargli compagne tra le infermiere. Un paio di infermiere sono cadute nella trappola. In seguito queste infermiere sono state reclutate nell'undicesima divisione del KHAD, ma una terza infermiera ha raccontato tutto al primario dell'ospedale che mi ha licenziata». Aggiunge: «Tutte le donne che hanno lavorato con me hanno le loro storie da raccontare. Ognuna di loro è stata costretta a questo tipo di lavoro, e nessuna di loro si sente soddisfatta».
Con l'aiuto di Ko-ko, abbiamo ascoltato le storie di alcune donne in uno dei Qala di Hashuqan-o-Harifan.
Ad Hashuqan-o-Harifan, in via Hazrat, ci sono vari Qala. In una di queste case, quattro donne, che chiameremo solo SH., L., P. e Z., lavorano ad orari differenti. La casa è gestita da Ko-ko e da un uomo (MI).
SH. racconta la sua storia: «Mi chiamo SH., sono originaria di Kohistan, nella provincia di Parwan. Le altre donne di questo Qala mi chiamano P.G.. Mio padre lavorava presso la compagnia edile di Kabul. Vivevo con due fratelli, mia madre e una zia in una famiglia molto povera. Lo stipendio di mio padre non bastava e per vivere chiedevamo soldi in prestito a dei conoscenti. Nel 1977 ho conseguito la maturità. Uno dei miei fratelli ha lasciato la scuola prima del diploma e se ne è andato in Iran. Mio padre era il solo a guadagnare dei soldi e mi chiese di cercare un lavoro. A quei tempi era difficile trovare un lavoro per una donna. Io e mio padre abbiamo cercato il lavoro e dopo lungo tempo siamo riusciti di trovare un impiego presso il Ministero delle Opere Pubbliche. A quei tempi il Ministro era Faeq, originario di Saidkhail nel Parwan, e, poiché eravamo originari della stessa provincia, mi assunse presso una delle sezioni guidate da Baqaie. Baqaie era del Panjshir. Un giorno mi chiamò nel suo ufficio e mi disse: «Se fai come ti dico, ti farò dare un aumento e 56 Kg di buoni regolari». Avendo preso l'impiego soprattutto per ragioni economiche e non conoscendo le sue malvagie intenzioni, pensai che forse il Ministro aveva ordinato questo senza gentilezza, perché ero della sua provincia di origine. Tuttavia, un giorno egli mi disse qualcosa che mi fece innervosire e lasciai il suo ufficio senza parlarne a nessuno. Un'altra volta in cui sono entrata nel suo ufficio, due altre donne che lavoravano lì mi hanno messo in guardia contro le cattive intenzioni di Baqaie, ma, prima che potessi lasciare l'ufficio, il Ministro chiuse la porta e mi chiese di restare, non senza aver prima ringraziato Baqaie per i suoi servizi.
Quel giorno sono uscita a pranzo con il Ministro e ho bevuto qualcosa che non avevo mai bevuto prima. Essendo influenzata dalla presenza del Ministro e stordita dal liquore, non ero consapevole quando Faeq (il Ministro) mi ha violentata. Da quel giorno è successo centinaia di volte. Mia madre è venuta a saperlo e ne ha parlato con mio padre, che mi ha picchiata e voleva uccidermi, ma mia madre lo ha fermato. Gli ha detto che che sarebbe andato in prigione, allora mio padre voleva uccidersi per non essere in grado di fare niente contro quel Ministro. Il Ministro mi ha poi ordinato di non andare nella sua sezione per un po' di tempo e mi ha dato 1500 Afghani. Mi sono recata da un ginecologo che, però, mi ha detto che l'aborto è peccato. Dopo averlo pregato, mi disse che mi avrebbe praticato l'aborto se gli avessi dato 5500 Afghani e l'anello che avevo al dito. Anche il medico mi ha violentato prima dell'aborto. Ci volle una settimana perché l'aborto venisse completato. I miei colleghi vennero a sapere tutto e mi diedero la loro solidarietà. Piangendo a dirotto aggiunge: «Chiesi un prestito al ministro per pagare i 5500 Afghani, ma si rifiutò. Il mio stipendio non bastava neanche per le spese di casa. Non riuscivo a pagare né l'affitto, né l'elettricità. Infine iniziai a prostituirmi. Un giorno in cui stavo andando a Sarai Hazar Gull un venditore di abiti di nome Zahir mi guardò. In breve, stabilimmo una relazione e io gli raccontai tutto. Si impegnò a pagare tutti i miei debiti se gli avessi promesso di non andare con nessun'altro oltre a lui. Per un po' di tempo mantenni la mia promessa, ma, poiché mi trovavo totalmente persa, iniziai ad andare anche con altri due o tre uomini. Nonostante il mio reddito aiutasse la famiglia, i miei familiari mi odiavano e stavo diventando un'estranea per i miei amici. La povertà della mia famiglia mi aveva costretta a questo. Quel disonorevole ministro Faeq e il suo aiutante Baqaie non avevano distrutto solo la mia vita, ma anche quella di decine di altre donne e di giovani ragazze. Nel frattempo, mia madre si era ammalata e io avevo bisogno di altri soldi. Continuavo a fare il mio lavoro e riuscivo a guadagnare abbastanza soldi, ma poi scoppiò la rivoluzione Saur. Faeq fu licenziato. Io mi lamentai di lui e lo denunciai a Rafih e Watanjar, ma non ottenni niente. Baqaie era stato promosso capo di "Asnad wa Irtebat" e mi minacciava di ripercussioni se non avessi ritirato le mie denunce.
Mentre mia madre era ancora malata, persi mio padre. In quel periodo vivevo con tre altri miei familiari. Tra il 1985 e il 1986 sono stata invitata ad unirmi al partito Parcham. Dopo un po' sono stata promossa e sono diventata segretaria dell'ufficio e anche membro ufficiale del partito. La moralità tradizionale non era una priorità per gli appartenenti al partito. Io ero occupata a reclutare altre donne e ragazze, anche con le minacce, affinché si unissero al partito. Tutti conoscevano il mio passato, ma nessuno osava parlarne, visto che ora ero un membro del partito. Presi parte nella ricerca di Cement Khana casa per casa. Ho anche lavorato presso gli uffici postali. Io e altre persone stavamo dimenticando lentamente il mio passato. Ho guadagnato anche un po' di soldi e sono stata inserita nel punto di raccolta sociale del partito. Ho spinto alcune ragazze innocenti sulle mie stesse vie, ma questo non mi importava molto. Sono stata accettata nell'organizzazione femminile cappeggiata dalla Dr.ssa Anahita Ratibzad. C'erano centinaia di donne come me non molto preoccupate di problemi morali e disponibili ad accettare incontri notturni. Più tardi ho iniziato a lavorare per il partito nell'organizzazione nazionale delle donne e dormivo abitualmente con i "compagni" durante i turni di notte. La guarnigione femminile e la "auto-difesa" era stabilita sotto l'ombrello dell'organizzazione femminile. Nella guarnigione ero una volontaria. Il nostro luogo di lavoro era il "Mairmono Toulana" dove venivamo addestrate militarmente e dove divenni molto brava nell'uso delle armi. Trascorrevo le notti con i "compagni" di partito. Nella guarnigione c'erano oltre 120 donne, tutte assistenti sociali del partito. Ho usato le mie conoscenze per mandare mio fratello in Russia. Tra l'88 e l'89 sono diventata un membro del KHAD (sezione afghana del KGB) sotto il comando del generale Baqi. C'erano altre donne e giovani ragazze, che condividevano ogni area del lavoro, per non menzionare poi i letti dei loro colleghi.
Operavamo nelle seguenti aree:
Nel KHAD, oltre al lavoro di sicurezza e spionaggio e le ricerche nelle case, eravamo al servizio dei colleghi e di un uomo di nome Pasoon, che organizzavano i nostri incontri con i consiglieri russi. Non so quante altre donne e oneste ragazze abbia spinto nelle maglie del KHAD, né quante di loro sono state violentate. Ho anche partecipato agli interrogatori di ragazze giovani e istruite, molte delle quali sono state violentate. Per me questo non importava, visto che ne traevo vantaggio. Tra il 91 e il 92 ho dato alla luce una bambina di cui ignoro il padre. Ora ha otto anni. Da quel momento sono diventata il capo famiglia. Mia madre non interferiva nei miei affari, ma tutti gli altri parenti e amici mi odiavano e ancora oggi mi evitano.
Dopo la caduta del regime di Najib e l'ascesa al potere dei Jehadi, sono rimasta a casa per un po' di tempo. Durante quel periodo mia madre è morta. Sono tornata al KHAD di Kabul e ho ottenuto di nuovo il mio lavoro. I Jehadi non erano da meno di quelli del Parcham e usavano le impiegate per il sesso, perché «erano comunisti». Il consiglio di Nizar ci ha rifornite di veli e ci ha mandate a Maidan Shahr, a Paghman, a Char Asiab per ottenere informazioni sul nemico. Quando l' Hizb-e-Islami (Partito Islamico guidato da Gulbuddin Hekmatyar) è entrato a Kabul ho lasciato di nuovo il mio impiego. Grazie ai soldi che avevo guadagnato sono riuscita a tirare avanti per qualche mese, ma quando i talebani sono entrati a Kabul ho dovuto far fronte di nuovo alle mie difficoltà economiche. Ho lasciato la casa che avevo in affitto, perché tutti i miei vicini conoscevano il mio passato e avevo sempre più problemi ogni giorno. Alla fine, ho ripreso a fare la prostituta. Quando lavoravo al KHAD conoscevo alcune prostitute. Le ho cercate e ho trovato R. (Ko-ko). Ora sono tre anni che lavoro in questo Qala. Ogni donna che lavora qui ha la propria storia, ma tutte lavorano qui perché sono povere.»
Non accompagno più i clienti fuori dal bordello. Alcune volte in cui ho accettato inviti ad uscire sono stata trattata molto male. Non partecipo a feste con musica e danze e incontro i miei clienti all'interno del bordello. Sono molto preoccupata per il futuro di mia figlia. Anche se ho meno di 30 anni ho pochissimi clienti. La polizia e i talebani non pagano quando vengono a trovarci. Il ruffiano e Ko-ko prendono la maggior parte dei soldi, soprattutto Ko-ko, che fa la parte del leone.» SH. continua: «dopo l'arrivo dei talebani i nostri affari hanno iniziato ad andare piuttosto male, i nostri guadagni sono diminuiti e non bastano a pagare le spese. Quando i talebani sanno dove siamo ci chiedono soldi e sesso gratis. Restiamo senza un solo cliente per giorni interi e viviamo fra molte difficoltà. Per noi tutte le porte sono chiuse».
L., figlia di GH. R., originaria di Behsood, nella provincia di Ghazni, è un'altra prostituta che lavora nello stesso bordello dell'area di Hashuqan-o-Harifan. Ci ha raccontato la sua storia come segue: «mio padre era un dipendente governativo ordinario. Io vivevo con due fratelli e tre sorelle in una casa in affitto a Karte Sakhi. Ho studiato fino a 12 anni e sono di etnia Hazara. Lavoro con Ko-ko da due anni. Le donne del bordello mi chiamano GH.. Mio fratello maggiore è entrato nelle forze armate durante il regime di Najib e più tardi è andato in Russia. Mio fratello minore lavorava come apprendista meccanico. In seguito è stato chiamato alle armi ed è stato ucciso durante un'azione militare. Fin dall'infanzia abbiamo vissuto in povertà e la sopravvivenza giorno dopo giorno è sempre stata una lotta. Mio padre non ha mai avuto un aumento a causa delle sue origini Hazara. Mia madre lavorava come inserviente presso l'ospedale di maternità di Kabul. In quel periodo ero una studentessa. Durante il periodo del regime di Najib, nonostante la nostra povertà, conducevamo una vita dignitosa ed eravamo grati a Dio per il pezzo di pane che ricevevamo. Quando il governo non musulmano di Rabbani e i demoni jehadi hanno preso il potere, l' Hezb-e-Wahdat (Partito di Unità, lacché dell'Iran) ha creato i propri punti di controllo e ha iniziato a controllare le località Hazara di Kabul. L'infido partito Wahdat era in conflitto con altre organizzazioni jehadi e, a causa di questo, tutti gli Hazara sono stati confinati nella loro parte della città senza potersi spostare liberamente. Le battaglie fra il partito Wahdat e altre organizzazioni jehadi si sono intensificate, io non potevo andare a scuola e non avevamo niente da mangiare. La guerra ha distrutto la maggior parte delle case della nostra area, ma la nostra famiglia non era in grado di spostarsi altrove. Mio fratello fu accusato di essere comunista e veniva minacciato regolarmente dai membri del partito Wahdat. Un giorno, alcuni membri del partito Wahdat lo hanno portato via. Poiché mio fratello era tenente sotto il passato regime, i membri del partito Wahdat lo costringevano a lavorare per loro nei loro punti di controllo militare e in seguito gli hanno dato la responsabilità del punto di controllo di 'Khan-e-Ilm Wa Farhang' e nel cinema 'Barikote'. Costringevano ogni famiglia Hazara a fornire un giovane che combattere per loro o, in alternativa, a pagare. I membri del Wahdat dicevano che dovevano trovare ogni giorno un afghano (di etnia pashtun) e un abitante di Paghman (distretto di Kabul).
I membri del partito Wahdat chiesero a mio fratello di preparare loro una festa. Ricordo che in quel giorno avevano catturato un residente di Paghman. Gli avevano portato via la bicicletta e alcune centinaia di Afghani e poi lo avevano picchiato. Si sono spartiti i soldi e hanno dato a mio fratello la sua parte, poi hanno messo da parte un po' di soldi per la festa.
La festa fu organizzata a casa nostra; arrivarono molte persone con capelli e barba lunghi, che deridevano mio fratello a causa dei nostri vecchi tappeti e mobili. Chiamavano mio fratello "Rezaie" e lo incoraggiavano a cercare qualcuno di Paghman o dei dintorni. Gli ricordavano che la popolazione di Paghman aveva commesso così tanti errori contro il nostro popolo, che doveva catturarne almeno uno per essere ripagato. «Non è peccato ucciderli» dicevano. Nonostante mio fratello non fosse abituato ad agire così, era costretto a rubare ed uccidere. Poiché era accusato di comunismo ed era stato nell'esercito di Najib, se si fosse rifiutato, sarebbe stato sicuramente ucciso. Centinaia di altri uomini come mio fratello, che si erano rifiutati di seguire gli ordini del partito Wahdat, erano stati uccisi. Ho servito da mangiare e ho ricevuto apprezzamenti per il mio duro lavoro. Quella festa ha segnato l'inizio dei miei incubi. Fra gli ospiti c'era un uomo di nome Qiadi. Notai che mi guardava in modo libidinoso. Non ci feci caso e non ne parlai a mio fratello. Da quel giorno Qiadi iniziò a venire a casa nostra. Poiché era un uomo potente del partito Wahdat, mio fratello lo temeva. Accusava mio fratello di essere comunista e lo minacciava sempre dicendogli che doveva pagare per i suoi peccati passati. Nonostante mio fratello lavorasse in un posto militare e fosse pertanto armato, non aveva reale potere e non poteva fare niente contro quell'uomo.
I combattimenti si intensificavano sempre di più. Un giorno abbiamo ricevuto un messaggio che ci avvertiva che nostro fratello era stato ferito gravemente e che dovevamo andare a trovarlo insieme a Qiadi nell'ospedale chirurgico. Io e mia madre abbiamo iniziato a piangere e volevamo andare insieme all'ospedale, ma essi hanno impedito a mia madre di andare in ospedale. Ero molto preoccupata e non sapevo cosa decidere. Mio fratello era tutto per noi. Ad ogni modo andai con Qiadi. Era pomeriggio inoltrato e Qiadi mi chiese di andare con lui presso il centro sanitario del partito per prendere il materiale medico necessario, in quanto nell'ospedale non c'era nessuno. Non avevo il minimo sospetto riguardo i suoi squallidi progetti. La verità è che quel giorno mio fratello era stato mandato in un'altra zona. Siamo arrivati in automobile in una casa deserta e l'uomo mi ha chiesto di aspettare in una delle stanze per pochi minuti. Accettai senza pensarci, poiché in quel momento i miei unici pensieri erano rivolti a mio fratello.
Qiadi entrò da un'altra porta e mi disse ridendo che non dovevo preoccuparmi, che non era successo niente e che mio fratello era andato in missione in un'altra zona. Mi chiese di riposarmi e di essere sua ospite per la notte. In quel momento ho capito le sporche intenzioni di quel malvagio jehadi, ma non avevo alcuna via di fuga. Ero come un uccellino fra gli artigli di uccello rapace. Lo pregai di lasciarmi andare, gli baciai i piedi, gli ricordai mio fratello, mia madre e del cibo che aveva mangiato a casa nostra, ma non è servito a niente. Poi ho iniziato a lottare di nuovo. Chiamò il suo cuoco, un uomo di nome Qurban, perché lo aiutasse a legarmi le mani. Poi lo cacciò dalla stanza in malo modo, dicendo che era questo il modo in cui devono essere puniti i comunisti. Lottai fino a tarda notte, ma nessuno poteva aiutarmi. La casa era deserta e i mobili erano stati rubati. Alla fine il malvagio Qiadi ottenne ciò che voleva e mi violentò.
In seguito gli ho detto che sarei stata sua moglie e che non lo avrei denunciato a nessuno; sulle prime disse di no, ma poi giurò sul Corano che lo avrebbe fatto se mi fossi messa a sua completa disposizione. Quella notte mi violentò parecchie volte. Alla mattina gli dissi che mia madre sarebbe morta di dolore per il figlio e che dovevamo andare da lei per dirle che stava bene e che lui doveva anche chiederle la mia mano. Accettò e disse che lo avrebbe fatto dopo la colazione. Mi sbagliavo. Io ero prigioniera in quella stanza e lo fui per altre venti notti. Qiadi vedeva mio fratello e fingeva di soffrire per la mia famiglia. Gli disse che avevano ricevuto un rapporto falso sulle ferite di mio fratello. «Ho lasciato tua sorella da qualche parte e sono andato al fronte». Egli maledì i musulmeni sunniti per la mia scomparsa.
Qiadi aveva impedito al padrone della casa, in cui mi teneva prigioniera, di entrare. La casa era situata dietro al Ministero del Commercio. Tutti i mobili erano stati rubati. Lo pregavo ogni giorno chiedendogli misericordia. Gli ricordai Dio ma non credeva nemmeno in Dio. Senza un briciolo di umanità, continuava a fare di me quello che voleva. Un giorno portò con sé due uomini e pretese che servissi loro da mangiare completamente nuda. Gli ricordai che aveva giurato sul Corano e su Allah che avrebbe chiesto la mia mano e che mi avrebbe sposata. Mi prese in giro e disse ai suoi amici che alla fine mi avrebbe data al suo cuoco. Tutti risero. Quella notte tutti e tre gli uomini mi violentarono fino a non so che ora della notte. Qiadi mi liberò dopo due mesi e sparì.
Quando rientrai in casa, mia madre e mio fratello avevano ormai perso ogni speranza di ritrovarmi. Raccontai loro ogni cosa. Mia madre iniziò a piangere e mio fratello disse che avrebbe trovato Qiadi e lo avrebbe ucciso come un cane. Gli dissi che la mia vita era già stata distrutta e che lui non aveva il diritto di distruggere anche la sua. Non aveva il potere di combattere quell'assassino violentatore. Eravamo costratti a restare in quella zona. Il partito Wahdat aveva addirittura decretato che gli Hazara non dovessero uscire dalle loro case. Alcuni giorni più tardi Qiadi tornò a casa nostra con alcuni uomini armati. Mio fratello non c'era. Chiese a mia madre: «Dov'è quel comunista che si è unito alle file dei Mujaheddin? Per colpa dei comunisti come lui i Mujaheddin stanno uscendo dal seminato. Devono essere uccisi». Mia madre voleva sapere qualcosa su di me, ma lui la colpì e ordinò ai suoi uomini di gettarla in un'automobile. Le mie grida non servirono a nulla. Intorno alla nostra casa tutto era deserto. A causa della nostra povertà e della crudeltà del Wahdat, eravamo i soli ad essere rimasti lì. Questa volta Qiadi mi portò al posto di controllo presso il cinema Barikot, dove alcune donne e ragazze di credo sunnita erano tenute prigioniere. Venivano trattate molto male e morivano sotto le torture. Di giorno ero costretta a cucinare per loro e di notte venivo ripetutamente violentata. È andata avanti così per dieci o dodici giorni. Altre donne prigioniere in altre stanze del cinema venivano trattate anche peggio di me. Non si curavano del fatto che fossi una dei loro Hazara e continuavano a compiere le loro turpi azioni su chiunque capitasse loro a tiro. Di giorno lavoravo e di notte venivo violentata. Dicevano che avevo il sapore di un comunista. «Questi comunisti sono qualcosa di diverso» dicevano. Le ripetute violenze sessuali e spesso di gruppo avevano fiaccato la mia salute fisica e mentale. Ho visto con i miei occhi come venivano violentate le altre donne. Essi facevano venire le mogli e le figlie delle persone con vari pretesti e le violentavano. Non sapevo dove fossero mia madre e mio fratello, mi mancavano molto. Non c'era via di fuga e anche se fossi scappata sarei finita nelle grinfie di lupi anche più selvaggi. Restai incinta, ma continuarono a violentarmi ogni notte. Mio fratello venne a sapere cosa mi succedeva ma non poteva fare niente. In seguito, venni a sapere che era partito per l'Iran. Mia madre se ne è andata con uno dei suoi parenti, ma non so dove sia.
Quando mi lasciarono andare ho iniziato a lavorare in altre case di Hazara. La mia pancia diventava sempre più grande e i coniugi della casa in cui vivevo diventarono sospettosi. Raccontai loro ogni cosa, ma fui sbattuta fuori. Abortii fra mille difficoltà e mi ammalai. Una persona di nome Sakhi Dad Karbalaie, che conosceva la mia famiglia, mi fece stare a casa sua per un po' di tempo. Poi iniziarono a maltrattarmi e io me ne andai. Le disgrazie che il partito Wahdat mi aveva gettato addosso avevano allontanato da me tutti e tutto. La nostra situazione ci costrinse a restare nel vicinato senza potercene andare e questo ha fatto in modo che mio fratello dovesse lavorare per il Wahdat. Alla fine non avevo più scelta. Potevo vendere il mio corpo o suicidarmi. È così che sono diventata una prostituta in questo Qala. Non so dove andare, ogni porta è chiusa per me. La mia vita è il risultato degli errori che i folli seguaci della Jihad hanno compiuto su di me. Hanno trasformato la vita mia e dei miei familiari in un'agonia.»
Del suo lavoro dice: «Sono ancora giovane, non ho più di 27 anni. Non riesco a risparmiare niente di quello che guadagno. Almeno non devo mantenere una famiglia, come molte altre qui dentro. A causa della mia etnia non ho molti clienti in quanto le Hazara non lavorano nello stesso bordello con Pashtun e Tagike.»
«Quando sono stata buttata fuori da quella casa, ho vagato per un po' per le strade. Qui ho incontrato Ko-ko. Lei è così esperta che ha capito subito che non sapevo dove andare. Mi propose di stare con lei per la notte e disse che mi avrebbe protetta come se fossi sua figlia. Quando siamo entrati nella casa, le altre si congratularono con lei per la nuova collega e allora ho capito dove ero finita. Da quel giorno lavoro qui.»
P. è nata a Kabul. Lavora come prostituta da tre anni. Non ha ancora 30 anni. Ci ha raccontato la seguente storia: «Ho lasciato la scuola quando avevo otto anni. Mio padre aveva un negozio di té e mia madre era casalinga. Il reddito di mio padre non bastava a far fronte alle nostre spese, soprattutto l'affitto ed eravamo pieni di debiti. A quei tempi vivevamo a Deh Afghanon. La giovane moglie del proprietario di casa, che viveva nella nostra stessa casa, ogni giorno usciva alla stessa ora per qualche ragione sconosciuta. Dopo un po' di tempo diventammo intimi e buoni amici. Era solita venire a trovare mia madre e parlare con lei quasi tutte le sere. Mio padre dormiva nel suo negozio. Durante un Eid (equivalente musulmano del Natale) mi comprò un vestito e mi chiese di lavorare con lei. Aveva convinto mia madre che dovevo andare con lei in città. Quel giorno comprò del tessuto femminile per me e un velo pakistano per mia madre. Nel 1988 mio padre è stato incarcerato per aver aiutato i Mujaheddin. I miei fratelli erano giovani e non avevamo altre fonti di reddito. Dopo un po' non abbiamo più potuto pagare l'affitto. La moglie del proprietario della casa ci lasciò stare lì gratis e convinse mia madre a farmi lavorare con lei.
Un giorno mi condusse in una vecchia casa dove c'erano parecchie donne e giovani ragazze. Mi presentò dicendo che ero una loro nuova collega e che dovevo essere istruita in modo adeguato. Mi diedero uno pseudonimo. La capo del gruppo era una donna chiamata P.N., che aveva rapporti con molti uomini ed era in contatto con le stazioni di polizia e le unità criminali e pagava loro delle bustarelle. Non mi ci volle molto per capire che ero entrata in un'organizzazione di borseggiatrici. Tutte le donne erano borseggiatrici professioniste. R. mi portava in città e mi insegnava a borseggiare.
P.N. gestiva l'organizzazione e trovava un'area della città da assegnare ad ogni donna affinché vi lavorasse. Restava a casa e divideva in modo equo i soldi che ognuna aveva guadagnato, dopo aver trattenuto le spese, la sua parte del leone e le bustarelle per la polizia.
Imparai presto questo lavoro e la accompagnavo sugli autobus. Mi ricordo che una volta ha rubato 2000 Afghani ad un uomo in modo molto abile e che me ne ha dati 200 in regalo. Presto ho iniziato a rubare e sono diventata esperta. Mia madre sapeva cosa facessi, ma mi disse che non avevamo altre vie. Mio padre era in prigione, i miei fratelli erano giovani, come avremmo potuto pagare l'affitto e comprare il cibo ?
Trovavo le mie vittime in vari modi. Talvolta seguivo gli uomini che uscivano dalle banche e dai negozi se mi accorgevo che avevano soldi con sé. Mi vestivo con abiti colorati e molto attillati per attrarre l'attenzione degli uomini. Mi avvicinavo molto a loro, da dietro o di lato, e cercavo di tenerli occupati. Civettavo un po' (gli uomini si lasciano attrarre subito da queste cose) e poi tagliavo le loro tasche. Alla fermata successiva li salutavo e cercavo una nuova vittima. Preferivamo le tasche degli uomini, perché le borse delle donne sono più difficili da tagliare. L'ho fatto fino al 1992 o 1993. Mi hanno preso tre volte, ma P.N. pagava delle bustarelle ai funzionari delle unità criminali e mi faceva uscire di prigione. In cambio aumentava la sua quota. P.N. gestiva anche una casa da gioco clandestina. R. andava in queste case da gioco e mi portava con sé. Dopo un po' di tempo sono diventata schiava del gioco. Mia madre cercò di farmi perdere quel vizio, ma non volevo ascoltarla. P.N. ci aiutò a far uscire mio padre di prigione tramite alcuni suoi contatti che conoscevano il generale Boba jon. Dopo essere uscito di prigione, mio padre non riuscì a trovare un impiego. A causa del vizio del gioco, ero indebitata con P.N. e un giorno, un uomo, che si presentò come ufficiale dell'esercito, di etnia uzbeka mi violentò nella sua casa con l'aiuto di P.N.. Da quel giorno iniziai a prostituirmi, in aggiunta al gioco e al borseggio. Anche R. e le altre donne si prostituivano. Poiché ero giovane venivo pagata molto bene. Il reato di zena (sesso al di fuori del matrimonio) a quei tempi non era grave. Fui segnalata alla polizia e i funzionari dell'unità criminale, soprattutto il maggiore Habib Noor mi invitavano nel loro ufficio durante il servizio di notte...
Lo stupro delle prigioniere da parte degli ufficiali della prigione era una pratica quotidiana a Wulaiat (quartier generale della polizia). Con l'aiuto di P.N. e Habib Noor fui liberata dopo tre mesi. Ho incontrato il maggiore Habib Noor fino a quando non ha lasciato Kabul. Mi ha presentato a parecchi suoi amici della polizia.
Da quel momento sono sola. In prigione ho incontrato ogni genere di criminali, comprese le prostitute e le mezzane. Volevo lasciare la banda di P.N. e così ho incontrato alcune donne che stavano organizzando il lavoro per le prostitute. Avevo avuto i loro indirizzi dalla prigione. Ho iniziato a lavorare per una di queste continuando i borseggi. Avevo un buon reddito, che mi permetteva di far fronte al vizio del gioco. Poiché avevo bisogno di molto denaro, durante il giorno borseggiavo e durante la notte vendevo il mio corpo. Non avevo una casa o una famiglia e andavo con chiunque me lo chiedesse. Niente era importante per me. Avevo perso mia madre, mio padre e i miei fratelli, e mi mancavano.
Sono andata anche con i Jehadi quando sono arrivati. Essi spendevano molti soldi ed erano buoni giocatori. Volevano che ballassi per loro, ma io non ne ero capace. Tuttavia, pagavano bene.
Ho smesso di fare la borseggiatrice sotto i talebani. Gli autobus erano separati per donne e uomini, e le donne non portavano molti soldi nelle borse. Sono stata costretta a spostarmi nella provincia di Ghazni, ma nemmeno lì sono riuscita a trovare lavoro. Sono tornata a Kabul e ho smesso di fare la borseggiatrice, temevo che potessero tagliarmi la mano se mi avessero presa. Oltre a borseggio, furti e prostituzione non so fare altro. La povertà ha bussato di nuovo. Non avevo un posto dove stare e nessuno voleva tenermi a casa sua. Ho ricominciato a prostituirmi. Alla fine sono arrivata nel bordello di Ko-ko, che conoscevo da un po'. Lavoro qui da parecchio tempo ormai. Ko-ko quadagna parecchio con me. Il fatto che sia giovane e non abbia mai avuto bambini le permette di chiedere un prezzo più elevato, ma tiene per sé una buona parte del denaro.
La nostra vita è terribile, nel bordello scarseggia l'igiene, le stanze sono umide, tutte le donne del bordello soffrono di malattie veneree e hanno malattie fisiche o mentali. Ci stiamo avviando verso la distruzione.
L'arrivo dei talebani ha distrutto il nostro lavoro. Non abbiamo molti clienti. I talebani che vengono qui non pagano e ci ordinano di stare zitte. Chiedono alle donne rapporti anali.
Infine si è rivolta a me dicendo: «Fratello, se sei una persona importante dì ai talebani di salvarci dalle difficoltà dovute agli alti prezzi e alla carestia. Dì loro di non picchiare le persone, ma di lavorare per il loro bene. Se ci fosse lavoro per tutti non avremmo motivo di rubare e rischiare di perdere le mani. Perché abbiamo questi problemi? Siamo le prime ad odiare questo lavoro. Se non trovassi un marito potrei almeno lavorare in uno di questi ospedali, guadagnando soldi onesti. Altrimenti non ci sono altre vie di scampo. siete stati voi a portarci a questo. Avete violentato centinaia di ragazze innocenti come L. distruggendo le loro vite. Voi siete i veri peccatori e nel giorno del giudizio a voi e non a noi verrà chiesto il conto.»
Z., un'altra prostituta ci ha raccontato la seguente storia: «mi sono ridotta così per colpa dell'invidia nei confronti delle amiche di mio marito e del mio amore per la lussuria. Ho studiato fino alla sesta classe. Sotto il regime di Najib, mio marito divenne un ufficiale militare. Vivevo con lui a Dai-Burri. Una delle parenti di mio marito, una donna istruita e anche membro del Partito, aveva ricevuto dal regime di Babrak un appartamento a Macrorayan. Ce lo mostrò per farci vedere che bella occasione aveva avuto. Ne fui tanto invidiosa da desiderare bramosamente anche io un appartamento a Macrorayan. Chiesi a mio marito di prenderne uno, ma lui mi rispose di smetterla di mettermi in competizione con le sue parenti e si rifiutò di fare qualcosa. Qualche giorno più tardi, senza dire niente a mio marito uscii di casa e iniziai a preparare una richiesta per il comune di Kabul. Non ero abbastanza istruita e non sapevo come funzionasse il sistema, che mi fece andare in giro per mesi. Mi seccai e per un paio di anni smisi di provare, ma poi tornai al Comune. Qui incontrai un uomo di nome Karim, che preparò per me una richiesta per senza tetto, completò lui stesso l'iter amministrativo per la domanda e mi lasciò andare nei vari uffici burocratici, di partito e dei sindacati. Completai l'intera trafila in fretta, i documenti furono inseriti in un dossier e fui inserita in lista di attesa. Andavo ogni momento a controllare la lista d'attesa e così riuscii a conoscere meglio Karim. Mio marito era all'oscuro di tutto. Dopo un po' di tempo Karim mi disse che la mia domanda era stata rifiutata, ma che potevo riprovare in un secondo momento. Quel rifiuto mi aveva veramente abbattuto. Decisi che avrei avuto un appartamento a Macrorayan ad ogni costo. Dopo aver cercato per un po', incontrai una persona di nome Azizi che mi disse che poteva farmi avere un appartamento. Per alcuni giorni girai per gli uffici insieme a lui. Azizi mi mentiva spudoratamente dicendo che entro pochi giorni sarebbe iniziata la distribuzione degli appartamenti, che mi era stato già assegnato un appartamento con tre camere e che, prima di avere l'appartamento, avremmo dovuto festeggiare. Caddi nella sua trappola e mi concessi a lui. Dopo aver ottenuto quello che voleva, contattò un altro uomo che promise di darmi la chiave dell'appartamento e anche con lui ho avuto rapporti sessuali. Dell'appartamento non si sapeva niente. Poiché ormai stavo perdendo il controllo della mia vita decisi che avrei avuto l'appartamento con qualsiasi mezzo. Dissi ai due uomini di incontrare Karim nell'ufficio di distribuzione, essi accettarono e io mi trovai con lui per alcune notti.
Inventavo delle scuse con mio marito per andare a dormire da Karim, e alla fine scoprì il mio segreto. Dopo un anno di discussioni e litigi ci siamo separati, mio marito mi ha buttato fuori di casa e ha raccontato tutto alla famiglia di mio padre. Ho perso la mia reputazione e i miei amici mi hanno abbandonata. È stato l'inizio delle mie miserie.
Nessuno mi voleva a casa sua e non ottenni l'appartamento. Non avevo lavoro né soldi e nessuno voleva aiutarmi. Iniziai a vivere a casa delle persone, ma venivo sbattuta fuori quando gli uomini iniziavano a venire a trovarmi. Le mie due figlie stavano con mio marito. Andai in tribunale, ma il giudice disse che non ero una buona madre e affidò le mie figlie a mio marito. Divorziai definitivamente. Nel 1988 e nel 1989 giravo per le strade e trovavo clienti sugli autobus o per strada. Ero in una pessima situazione finanziaria. Uno dei miei clienti mi fece avere un posto presso il Ministero del Commercio. Il mio stipendio non era sufficiente e dovevo continuare a fare anche la prostituta. Dopo due anni fui licenziata per cattiva moralità. Per un po' di tempo rimasi disoccupata e mi recavo a casa dei miei clienti. In quel periodo fui reclutata presso la settima divisione del KHAD da una donna di nome S.
Oltre a fare la spia e a incastrare uomini e donne, venivo usata anche per scopi sessuali durante il servizio notturno dei capi. Guadagnavo bene e affittai una casa a Yaka Toot. Mantenni quel lavoro fino al 1991.
Quando arrivarono i Jehadi lasciai il mio lavoro e pensai di sposarmi, ma nessuno voleva sposarmi. Lo proposi a un mio collega del KHAD, che sulle prime si rifiutò, ma poi mi disse che mi avrebbe risposto se avessi passato la notte con lui. Fu il suo modo di dirmi di no. Lavoravo in alcuni bordelli che conoscevo, ma guadagnavo molto poco. Il destino mi fece incontrare Ko-ko, che mi portò in una delle sue case e mi tentò come un serpente. Mi disse anche che nessun uomo, ad eccezione dei ruffiani, mi avrebbe mai sposato a causa del mio lavoro e del mio passato e mi ha fatto lavorare per lei.
I miei desideri irragionevoli, le mie voglie e la mia gelosia sono i motivi per cui ho iniziato a fare questo lavoro. Adesso sono una prostituta di professione.
In uno dei bordelli della regione di Qala-e-Zamaan Khan, lavorano due giovani donne di nome L. e Q.
Q. era fuori, a cercare dei clienti o a mendicare, così L. ci ha raccontato la sua storia: «era una vedova virtuosa, spinta a prostituirsi dalla cattiva sorte, dalla povertà e dalla guerra civile dei Jehadi. Dopo aver perso il marito è rimasta sola con due figli, senza parenti. La miseria e l'accattonaggio la hanno spinta a prostituirsi. Non ha nessuno che possa aiutarla. Suo marito morì dopo qualche mese di malattia, nonostante le cure mediche a cui poté sottoporsi grazie alla vendita dei mobili.
Q. era sola e viveva fra mille difficoltà. A Kabul nessuno ti aiuta e se non vuoi morire di fame, non ti resta altro da fare se non quello che facciamo noi.
La guerra civile fra i Jehadi era esplosa a Kabul. I soldati di Dostum avevano messo le loro postazioni nelle zone di Jada e di Chaman. Q era solita andare da loro per prendere i resti di cibo lasciato dai soldati». L, che aveva sentito molte volte la storia di Q, ce la raccontò in prima persona: «Di solito indossavo un vecchio velo e cercavo il cibo nelle postazioni militari. Erano abituati a vedermi andare e venire e spesso lasciavano un po' di riso e di pane, sufficienti per i miei bambini. Poiché mi nascondevo dietro al velo non sapevano che fossi giovane. Mi chiamavano "madre" e mi dicevano di andare da loro ogni giorno, perché avrebbero sempre lasciato del cibo per me». Un pomeriggio mi recai presso una delle postazioni militari di Jaada, ma il velo non copriva totalmente il mio viso. Due soldati di Dostum mi dissero di andare sul retro dove avevano lasciato del riso e dell'olio per cuocere. Mi sentii felice e camminai verso il retro dell'edificio. Aprii una delle stanze, ma non c'era niente dentro. Improvvisamente, entrambi gli uomini mi afferrarono alle spalle e mi violentarono. Per mantenere saldo il mio onore lasciai la zona senza aver emesso un solo suono. Non lasciai la mia casa per alcuni giorni. Poiché i miei bambini avevano fame li mandai a mendicare del cibo. Essi erano molto giovani e nessuno dava loro del cibo. Non bastava mendicare per sopravvivere. La fame è una cattiva consigliera. I miei figli avevano bisogno di cibo e quindi non trovai altra via che diventare una prostituta. Quei Jehadi che mi avevano violentata erano un'altra ragione per cui mi sono messa in questo sporco lavoro. Ora, ogni volta che ne ho la possibilità mi vendo, anche se segretamente dai miei bambini.»
L. aggiunse a proposito di Q: «Ora lei lavora con me in questo bordello. Quando non abbiamo clienti, esce a mendicare o a cercare clienti in taxi. I suoi bambini stanno diventando grandi e fa di tutto per tenerli all'oscuro di tutto questo. Conosce un tassista che la porta sempre con sé.»
È giunto il turno di L. di raccontare la propria storia: «Mio marito era un muratore. Avevamo tre bambini. Nonostante fossimo poveri non avevamo particolari preoccupazioni. Ma la cattiva sorte ci perseguitava, durante il lavoro mio marito cadde da un tetto e rimase paralizzato. Le cure non gli sono servite a niente. Per un po' mio fratello, che installa radio, ci ha aiutato, ma poi si è sposato e il sostegno economico è venuto meno. Le mie figlie sono state costrette a lasciare la scuola e siamo caduti in miseria. Non avevamo da mangiare. Feci domanda di lavoro presso il Ministero dell'Elettricità e delle Reti Idriche. Mi diedero un lavoro come inserviente. Dopo un po' di tempo, a tutti i lavoratori, me compresa, è stato richiesto di recarsi presso l'Ufficio dell'Amministratore del Partito Parcham, dove era atteso il Ministro. Ci è stato richiesto di entrare nel partito, altrimenti, così dicevano, ne avrebbero dedotto che sostenevamo il nemico. Mi fu data la responsabilità di preparare le relazioni sugli individui che lavoravano con me e di vedere se questi fossero o meno contro il governo. Mi spostai dalla mia casa e andai a vivere in un sobborgo più vicino alla città (da Qala-Cha a Bibi-Mahro, essere membri del partito era pericoloso nelle zone esterne di Kabul) e partecipavo agli incontri di partito una volta alla settimana. Nahid, una donna corrotta che era anche l'amministratrice della nostra organizzazione femminile, seduceva le giovani ragazze di bella presenza e le presentava ai funzionari del Ministro. Non ero a conoscenza del fatto che portasse centinaia di donne a perdere l'onore familiare. Alla fine, subii la stessa sorte. Un pomeriggio, l'amministratore dell'organizzazione del Ministero, di cui ho dimenticato il nome, mi chiese di recarmi nel suo ufficio. Mi pose qualche domanda sul mio lavoro e poi mi regalò dei soldi e infine mi disse che potevo recarmi da lui ogni volta avessi avuto dei problemi, in quanto l'organizzazione era quella della forza lavoro proletaria. Quando mi recai da lui la volta successiva fu diverso. Con molta gentilezza mi mise le mani addosso e infine mi chiese di fare sesso con me. Gli risposi che non ero di quel genere di donne e che prima di allora "nessuno si era permesso di chiedermi questo genere di cose, ripete che questo è un partito di lavoratori, ma ora sta usando gli stessi proletari di cui dice di difendere i diritti". Mi rispose che questo "non è immorale, non la sto costringendo od opprimendo. Piacerà ad entrambi. Guardi, questo tipo di cose dovrebbe essere naturale fra compagni. La compagna Nahid non ha alcun problema a farlo." Quel giorno andai a casa senza aver fatto niente. Ora che conoscevo le sue intenzioni, sapevo di trovarmi in una brutta situazione. Da un lato avevo di fronte la povertà e dall'altro il mio onore era in pericolo. Mio marito non poteva camminare e io dovevo procurarmi il cibo per mio figlio e le mie tre figlie. Non avevamo nessuno che ci aiutasse. Come se non bastasse, mio fratello vendette la nostra casa e se ne andò in un altro continente senza darci la nostra parte.
I nostri problemi aumentavano ogni giorno. Il mio stipendio non bastava a pagare l'affitto e a comprare il cibo. Avevo uno stipendio da lavoratore di livello 10. L'amministratore mi chiamò nel suo ufficio e mi disse che avrei dovuto lavorare oltre l'orario perché conosceva quali problemi avessi. Mi disse che mi stava facendo un favore e io accettai la sua proposta. L'amministratore non perdeva occasione per convocarmi nel suo ufficio e rinnovare le sue richieste, cercando di convincermi dell'assoluta naturalezza di quello che mi chiedeva. Mi diceva che dovevo concentrarmi su come risolvere i miei problemi e che dovevo fare quello che mi chiedeva. Talvolta arrivava anche a minacciarmi, altre volte era gentile. Alla fine chiese aiuto alla famigerata Nahid. Costei aveva detto che "queste donne dormono ancora e devono essere svegliate. Queste cose le preoccupano ancora". Un giorno mi disse "Cara L., tuo marito è malato e tu hai bisogno di denaro come tutti, non è certo la fine del mondo farlo", e lasciò l'ufficio.
Alla fine l'amministratore ottenne quello che voleva, mi prese con forza nel suo ufficio e da allora dovevo essere a sua disposizione tutte le volte che voleva.
Dopo un po' di tempo mio marito morì, le mie figlie stavano diventando grandi e io lavoravo come inserviente e come giocattolo per l'amministratore. Avevo trovato qualcuno che voleva sposarmi, ma quando seppe dell'amministratore se ne andò.
La mia figlia maggiore si sposò. Dopo un po' di tempo, mia figlia gli raccontò tutto a proposito dei miei affari illegali, mio generò mi buttò fuori di casa e tenne con sé l'altra mia figlia. Mio figlio andò a vivere con suo zio e diventò un apprendista presso la sua officina di radio. Nonostante sia contenta che le mie figlie non siano diventate come me, mi dispiace non poter andare a trovarle nella loro casa. Ho fatto quello che ho fatto e ora loro mi chiamano prostituta. Ho lasciato il lavoro quando si è sparsa la voce dei miei rapporti con l'amministratore. Ho vagato per un po' in giro andando ovunque venissi invitata, senza alcuna esitazione. Alla fine sono approdata qui. Sto diventando vecchia e i clienti non si interessano molto a me e spesso sto per giorni interi senza vedere un cliente. Talvolta non ho neppure un pezzo di pane da mettere sotto i denti. Anche i miei clienti abituali, molti dei quali sono giocatori, non vengono più da me. Solo uno o due di loro continuano a venire, ma solo se vincono soldi al gioco. A causa dei problemi di sicurezza, siamo costrette a cambiare spesso casa.»
In questo bordello lavorano tre donne e una ragazza, che vivono nel continuo timore di essere arrestate. Queste donne si sono presentate come QR., F. e N.
Il bordello è gestito da un uomo, che non ha voluto dirci il suo nome e da una donna di mezza età, N. Z.. N. Z. ci ha raccontato la sua storia: «Appartengo alla gente del Kharaabaat. Faccio questo lavoro da anni ormai. Quando ero giovane cantavo e ballavo durante i matrimoni. Ho anche lavorato come artista presso l'Old Marastoon Sahna, che si trova nel mandawi di Kabul. La mia giovinezza è trascorsa serenamente. Le mie figlie si sono sposate e vivono con i loro mariti. Non ho figli maschi. Mio marito suonava strumenti musicali. Quando morì anni fa, per un po' di tempo ho vissuto da sola. Quando - due anni fa - i talebani e i Mulas hanno proibito la musica e la danza ho iniziato a fare questo lavoro. Non possiamo restare a lungo in una stessa zona. Quando le persone ci scoprono ce ne andiamo. I Jehadi erano buoni, pagavano bene e gli uomini di Dostum erano particolarmente generosi.»
Q. R. racconta la sua storia: «Siamo arrivati a Kabul molto tempo fa. Mio marito (G.) aveva una casa da gioco a Bagh-e-Qazi e lavorava anche come conducente di autobus sulla linea Kabul-Qandahar. Era un giocatore e perse tutto quello che era riuscito a vincere e oltretutto era un pederasta. Continua a giocare e a commettere atti di pederastia. Quando perde viene da me e mi costringe a dargli dei soldi. Durante il regime di Karmal è stato arrestato a causa di una violenta lite scoppiata nella sua casa da gioco; nonostante non lo amassi più ho cercato di aiutarlo. Quando mi recai dal comandante della stazione di polizia di Shotor Khana, che era anche membro del partito, questi mi disse che oltre al reato del gioco, mio marito aveva pugnalato qualcuno e poi mi disse di tornare nel suo ufficio il giorno seguente. Il giorno dopo, mentre parlava con me, mi disse "lei è una bella donna, perché ha sposato uno con il vizio del gioco? Dovrebbe liberarsi di lui. Se vuole posso aiutarla, poi ci sposeremo insieme". Gli risposi che, sebbene fosse un delinquente, quell'uomo era pur sempre mio marito, avevamo un figlio e stavamo insieme da un po' di tempo. Disse di essere disposto a pagare le spese se fossi diventata la sua amante, a patto che non andassi con altri uomini. Rifiutai la sua proposta e cercai di liberare mio marito in qualche altro modo. Poiché la chiave della libertà di mio marito era vincolata a quell'ufficiale non riuscii a fare niente. Un giorno quell'ufficiale mi mandò a chiamare per dirmi di andare da lui, perché quel giorno avrebbero portato mio marito presso il quartier generale di Wulaiat. Andai a trovare mio marito che mi disse di fare quello che l'ufficiale mi chiedeva. Mi misi a disposizione dell'ufficiale e mio marito fu liberato e andò lavorare all'autostrada di Herat. L'ufficiale iniziò a frequentare la nostra casa quando mio marito non c'era e pagava alcune delle nostre spese. Quando mio marito lo venne a sapere non rimase particlarmente sconvolto, mi disse solo di stare attenta perché rischiavo di perdere il controllo.
Mio marito riprese a giocare e lasciò il suo lavoro. Un giorno si trovò coinvolto in una rissa e fu messo in prigione a Qandahar. Frequentavo abitualmente quell'ufficiale finché un giorno se ne andò non so dove e non lo vidi più. Ebbi una relazione con due altri uomini. Mio marito uscì di prigione sei mesi dopo e tornò a casa. Venne a conoscenza delle mie relazioni, ma non disse niente. Una settimana dopo mi annunciò che saremmo andati in Iran. Pensai che ci andassimo perché era preoccupato della sua cattiva fama e voleva allontanarsi da tutto. Quando siamo arrivati in Iran pensai che si sarebbe cercato un lavoro, ma mi sbagliavo.
In Iran abbiamo affittato una casa, e lui mi portava in casa dei clienti iraniani. Mi disse che non poteva lavorare come operaio. Mi sono venduta per due anni in Iran.
Quando Najeeb prese il potere siamo tornati a Kabul e abbiamo comprato una casa a Shar-e-Kohna con i soldi che avevo guadagnato prostituendomi. G. riprese a giocare e perse tutti i miei soldi. Oltre al gioco, egli era diventato anche un ruffiano, aveva trovato un'altra donna e le portava a casa i clienti. Mia figlia stava diventando grande e ha capito che tipo di lavoro facessimo io e suo padre. Sto in guardia affinché G. non coinvolga nei suoi progetti anche nostra figlia. Prima che arrivassero i talebani, questo lavoro non era particolarmente pericoloso, mentre ora viviamo nel terrore e i clienti scarseggiano.
Non ho rapporti amichevoli con N.Z. e con l'uomo che gestisce questo postribolo. Essi mi minacciano sempre dicendomi che se G. non cambia comportamento dovrò lasciare il bordello. Come se non bastasse G. organizza incontri per pederasti con alcuni membri del Ministero della Sicurezza (uno di questi si chiama Gul Mohammad) contro la volontà di N. Z. e delle mie altre colleghe. Si procura addirittura ragazzini mendicanti per i suoi incontri.
Lo scorso inverno, hanno avuto una rissa durante una festa pederasta e il nostro segreto ha rischiato di essere scoperto. Abbiamo deciso di andarcene da questa casa. Un'altra ragione per cui ce ne andiamo è che alcune delle persone che vengono qui richiedono rapporti anali.»
F. racconta la sua storia: «Mio marito lavorava come autista. I Jehadi lo hanno ucciso mentre lavorava a Jabul Saraj e hanno bruciato il suo camion. I miei figli sono rimasti orfani e noi non siamo più stati in grado di pagare l'affitto e di comprarci da mangiare. Ho dovuto chiedere prestiti e sono sempre piena di debiti. Nessuno ci aiuta. Ho iniziato quindi a fare il bucato a domicilio. In una di queste case mi sono trovata coinvolta in una storia con un uomo. A causa di questo fatto mi sono creata una cattiva fama e sono diventata una prostituta. Ora sono cinque anni che lavoro come prostituta. Prima che arrivassero i talebani avevo l'abitudine di ballare durante i matrimoni per pagare i miei debiti. Avevo fatto un po' di soldi e avevamo preso una casa in affitto. Porto i miei clienti, vecchi o nuovi che siano, in quella casa e quindi posso tenermi tutti i soldi che mi danno.
Durante lo scorso inverno, un poliziotto della stazione della polizia afghana di Deh è venuto a sapere della mia casa e ha iniziato a portare con sé due uomini, uno dei quali, un arabo di nome Abdullah, pagava, l'altro uomo no. Hanno lasciato la stazione e non li ho più visti.
Se non trovo clienti mendico e se non trovo niente mi prostituisco. Devo pur procurarmi da mangiare in qualche modo. Vivo nel costante terrore. I talebani non ci danno cibo e non ci permettono di mendicare. Non si chiedono mai che cosa ci abbia spinto a tanto. Se mio marito non fosse stato ucciso io non sarei diventata una prostituta o una mendicante. Sono i criminali Jehadi ad averci messo in questa situazione.
N. Y. è il nome della ragazza che lavora in questo bordello. Non è sposata e ci racconta la sua storia: «Mio padre voleva farmi sposare mio cugino, ma a me non piaceva. Ho studiato fino all'età di nove anni, quindi so leggere e scrivere. Mi ero innamorata di un commesso di Sarak-e-Qala-e-Mousa. La nostra casa si trovava in quella zona. Un giorno gli confessai i miei sentimenti, ma egli si scusò dicendo che non poteva sposarmi senza il permesso dei suoi genitori. Provai a insistere, ma non accettò e mi chiese di uscire dal suo negozio.
Quando sono arrivati i Jehadi ho lasciato la scuola. Mio madre andò a trovare quel commesso che però l'ha rassicurata. I miei genitori mi hanno costretta ad impegnarmi con un ragazzo che era un operaio, nonostante a me non piacesse. Fra il Consiglio di Nizaar e il partito Wahdat erano appena incominciate scaramucce di fazione intorno a Char-Qala-e-Wazir-Abad e il Consiglio di Nizaar aveva fissato una postazione proprio vicino alla nostra casa. Mio padre iniziò a lavorare per loro come cuoco e questo era un buon aiuto finanziario. A causa del lavoro di mio padre, Agha Bacha, un uomo del Cosiglio di Nizaar, che abitava a Parwaan, iniziò a frequentare casa nostra e siamo diventati intimi. Un giorno siamo andati segretamente in città dove mi ha comprato un anello d'oro. Il mio fidanzato era molto protettivo e anche un assiduo lavoratore.
Ho continuato la mia relazione con Agha Bach, che era a capo di un gruppo nel Consiglio di Nizaar. Un giorno in cui ero sola a casa mi ha sodomizzata. Ha continuato a farlo finché la gente non è venuta a saperlo. Quando il mio fidanzato lo ha saputo si è battuto con Agha Bach e lo avrebbe ucciso se gli amici di Agha Bacha non lo avessero arrestato con il pretesto di avere contatti con il Wahdat.
Temendo per la mia vita e a causa della vergogna che avevo causato ai miei genitori, andai a Peshawar, in Pakistan, con un ragazzo che conoscevo. Ho trascorso alcune notti a casa di uno dei suoi parenti, ma poiché non avevamo soldi siamo tornati indietro. Quel ragazzo non mi aveva fatto niente, ma mi disse che il sesso con la moglie di un altro è disonorevole. Mi disse che se non fossi una ragazza leggera ed inaffidabile, mi avrebbe sposata quando eravamo a Peshawar. A Pul Mahmood Khan ci siamo separati, mi ha lasciata lì e se ne è andato. Per un po' di tempo ho vagabondato per le case dei miei parenti, ma quelli che erano a conoscenza della mia storia non mi fecero entrare in casa. In breve, sono arrivata qui. Poiché ero giovane e vergine sono stata accettata con gioia in questo bordello. All'inizio il proprietario del postribolo veniva pagato moltissimo per me e io ottenni vestiti e anche un orologio». Aggiunge, «Mi pento ogni cosa. Quando penso al mio fidanzato vorrei quasi suicidarmi, ma N. Z. mi tiene d'occhio e non mi dà la possibilità di farlo.
Dal giorno in cui ho iniziato a fare questo lavoro tutti gli uomini che arrivano qui preferiscono avere rapporti con me e, a causa dei rapporti troppo frequenti con gli uomini, ho contratto una dolorosa malattia difficile da curare.»
Oltre alle prostitute professioniste che lavorano nei bordelli, molte donne, a causa di problemi familiari, non possono lavorare nei postriboli. Queste donne lavorano per strada come mendicanti e portano i clienti nelle loro case.
È innegabile il fatto che le giovani donne di Kabul, a causa di problemi economici, povertà e fame, siano diventate prima mendicanti e si siano poi trasformate in prostitute. Queste donne sono migliaia e il loro numero è in continuo aumento.